mercoledì 20 aprile 2011

E secondo voi, a quanto era quotato?

(recensione di Habemus Papam di Nanni Moretti)

La sera stessa che ho deciso di andare a vedere Habemus Papam di Nanni Moretti, quest'ultimo era ospite da Fabio Fazio in tivvù. Fortunatamente mi sono perso la trasmissione.
Il sagace conduttore infatti, emozionato come uno scolaretto come sempre quando intervista qualcuno, tra una domanda demente e l'altra ha estorto al malcapitato regista un clamoroso spoiler del film. Lo stesso Moretti, accortosene, ormai tardi, cerca di buttarla in battuta, cercando di non far trapelare la litania di bestemmie che di sicuro stava snocciolando mentalmente in quel momento.
Che Fabio Fazio sia capace di intervistare esattamente quanto io sono capace di strappare un elenco del telefono a mani nude lo si sa, quindi parlerei piuttosto del film visto ieri sera.
(Nelle prossime righe a mia volta potrei anticipare qualche scena del film. Siccome non mi chiamo Fabio Fazio vi avviso per tempo).

Moretti esattamente dieci anni fa, nel 2001, ha iniziato  una seconda fase della sua produzione, non più tra il generazionale e l'autoreferenziale, dal respiro più ampio.
Potremmo dire una fase più cinematografica, meno diaristica, nella quale è più  evidente la volontà di utilizzare il mezzo per raccontare una buona storia e non più utilizzarlo soltanto come una sorta di autopsicanalisi.
Quasi a compensare la mancanza dell'autopsicanalisi cinematografica della prima fase, il personaggio dello psicologo compare in ben due film su tre di questa nuova fase, La stanza del figlio e il nuovissimo Habemus Papam.
Per quanto riguarda Il Caimano beh, potremmo benissimo considerarlo un opera di psicanalisi collettiva. Scatta infatti una sorta di corto circuito nello spettatore quando Moretti, forse citando in qualche modo Gaber (“non temo il Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me”), nella scena finale interpreta lui stesso il Caimano, identificandosi proprio nell'antagonista e mostrandoci quanto sia sottile la linea che crediamo divida noi dalla nostra nemesi.

In Habemus Papam il protagonista del film è il cardinale Melville il quale, eletto papa, non si sente  all'altezza dell'incarico e cerca di sfuggirne.
La prima lettura che si può dare della pellicola è quella emozionale. I sentimenti di disagio, inadeguatezza, oppressione, paura, trapelano in maniera molto efficace nel film, tanto che lo spettatore prova la stessa ansia del papa titubante e allo stesso tempo si mischia alla folla di fedeli che aspettano per giorni la proclamazione del nuovo pontefice, provando anch'egli la stessa apprensione.
Se il film voleva proporsi lo scopo di trasmettere queste sensazioni c'è riuscito in pieno.
Ma benchè non sia un film “contro la Chiesa”, come molti si aspettavano e come qualche acuto giornalista di Avvenire ancora crede, in maniera simbolica e con toni direi persino teneri, il film muove una chiara critica proprio alla Chiesa.
In ciò possiamo scorgere la seconda chiave di lettura del film.
Il papa rinunciatario, assalito dai dubbi, lontano anni luce da come si presenta il papa non cinematografico, rivela una Chiesa in crisi d'identità, una Chiesa che non comunica più col mondo, chiusa in un mondo autoreferenziale.
La necessità, la voglia di cambiamento, è dipinta perfettamente dalla splendida canzone di Mercedes Sosa, “Todo cambia”. Il mondo che muta nelle sue mille forme e contraddizioni richiede un'apertura al mondo stesso, che la Chiesa, imprigionata nei suoi palazzi (fisici e dogmatici) non ha più. Molto significativa la scena nella quale i cardinali, imprigionati in Vaticano con Moretti, ascoltano la canzone battendo le mani a tempo e accennando quasi ad una danza. La ascoltano come si ascolta un bel motivetto, non cogliendone il significato profondo.
La stessa canzone, nello stesso momento, viene ascoltata da Melville fuggitivo per le strade di Roma, interpretata da un'artista di strada. Fuori dal palazzo la canzone appare più vera, non è più un simpatico motivetto da canticchiare, ma uno spunto su cui riflettere.

Lo psicologo Moretti, impossibilitato ad uscire dal Vaticano organizza un torneo di pallavolo tra i cardinali di tutto il mondo. Di sicuro il momento più surreale del film. I cardinali rappresentati sono dei vecchietti fin troppo umani, ma quasi caricaturali nel loro mondo al di fuori dal mondo. Lo straniamento del torneo di pallavolo in Vaticano aumenta ancora di più la distanza tra quel mondo e  il mondo reale, proprio mentre il papa fuggitivo si mischia ad esso.
Il dubbioso Melville è anch'esso umano, ma di un'umanità più profonda. Un' umanità che acquista spessore proprio nel dubbio e nell'accettazione dei propri limiti.
Moretti ha fatto un iniezione di pensiero debole all'interno di un mondo, quello cattolico, che per ovvie ragioni si basa su certezze granitiche. Ciò provoca un'evidente crisi in quel mondo, una crisi dalla quale forse potrebbe ripartire una rinascita, se fosse accettata e affrontata.

In questa storia così ben narrata e strutturalmente semplice non mancano momenti divertenti, così ben dosati da non stridere con l'atmosfera generale del film.
Habemus Papam non è un film satirico, ma c'è almeno una scena che possiamo considerare tale.
I cardinali chiedono a Moretti a quanto fosse quotato dai bookmaker inglesi ciascuno di essi sulla possibilità di essere eletto papa. Tra i cardinali curiosi ce n'è uno, dai capelli bianchi e perfettamente in ordine, occhiali, chiaro accento tedesco. Vi ricorda qualcuno?
E secondo voi, a quanto era quotato?

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